I miei libri


Benvenuti!


I miei libri


Il loro colore è il colore semplice e vivace dei fiori di campo,
il loro odore è quello che mi inebria l'anima,
il loro sapore è quello di un cibo sano che non sazia,
il rumore delle loro pagine è quello della mia curiosità,
di tutti quei libri che vorrei leggere, di tante cose che ancora non so.
Mentre leggo mi ascoltano..li ascolto,
mi parlano, sanno le parole che vorrei ascoltare,
ciò che mi piace e ciò che mi fa arrabbiare,
sono gli unici che sanno tutto di me,
e lo sanno perché ti fregano con una parola, una frase, un odore, un luogo.
Conoscono i miei pensieri, i miei desideri, le mie emozioni, le mie paure.
Sono amici fedeli perché non raccontano quello che sanno,
quando tutti vanno via, loro rimangono lì,
mi strizzzano un occhio ..e so già che non sono più sola.

giovedì 9 dicembre 2010

Qualche riflessione..



Sulla nostra lingua..

Questa mia breve riflessione nasce dalla lettura di qualche anno fa di questo saggio molto interessante dal titolo: “Italiano antico e nuovo” del noto linguista Gian Luigi Beccaria, in cui vengono trattate tematiche inerenti l’evoluzione della lingua italiana, che ritengo molto attuali e sulle quali a mio avviso vale la pena riflettere.
È da tanti anni che sentiamo parlare del timore, ormai diffuso, soprattutto da parte di insegnanti e linguisti, che il parlato stia prendendo il sopravvento sullo scritto.
Sono i media, nella maggior parte dei casi, che vengono imputati come i maggiori responsabili di questo cambiamento, in una società odierna sempre più in fermento e di “corsa”.
I più preoccupati sono gli insegnanti, anche se l’allarme arriva da vari fronti, che registrano, nelle prove scritte degli studenti, un linguaggio "colloquiale" che si avvicina molto al parlato.
Nell’introduzione a questo saggio davvero interessante il Prof. Beccaria scrive:
”L’evoluzione della lingua può essere messa in rapporto con quella della società. Non si possono analizzare costumi, gruppi sociali, relazioni reciproche senza una storia della lingua. Molti sociologi hanno domandato e domandano spesso qualcosa ai linguisti, perché la linguistica studia per lo più atti situati”( Italiano antico e nuovo, pag.10).
Apro una breve parentesi: in questo accenno che il Prof. Beccaria fa alla sociologia, come disciplina che si è rivolta più volte alla linguistica, non può non venirmi in mente il padre dell’etnometodologia, Harold Garfinkel, che a proposito del “particolare” studio del linguaggio, nell’ambito della sua ’”Analisi della conversazione”, usa proprio il termine “Indicalità”.
Garfinkel eredita proprio dalla tradizione linguistica questo termine, in linguistica infatti, quando si parla di indicali o deittici ci si riferisce a tutti quegli elementi connessi in modo indissolubile al momento e alla situazione enunciativa, sia in ordine di spazio che di tempo, naturalmente questa caratteristica viene poi estesa dagli etnometodologi a tutto l’agire sociale. Indicalità come caratteristica legata in modo indissolubile al contesto, tutto ciò che diciamo, sosteneva Garfinkel, ogni nostra affermazione, assume un significato che è “situato”, e che è dipendente dal contesto in cui viene espresso.
Ritornando alla nostra lingua , il suo cambiamento dunque riflette sicuramente i cambiamenti sociali, la sua vitalità è intimamente connessa ai cambiamenti e all’evoluzione dei contesti sociali.
Fermiamoci un po’ e pensiamo a come l’uso di pronomi come “egli”, “ella”, nel parlato, sia ormai tramontato, avendo ceduto il passo a pronomi come “lui”, “lei”, e ancora verbi come i congiuntivi sepolti da un indicativo sempre più “onnipresente”.
È un allarme giustificato?
Secondo il versante dei linguisti tra i quali il noto Prof. Beccaria, l’allarme non è così motivato:[ “Quanto alla mia posizione, dico subito che non sono con gli allarmisti, lodatori del buon tempo antico, dell’italiano “bello e appropriato”, e tantomeno sto coi populisti ai quali pare che la lingua italiana navighi oggi in acque favorevoli e a vele spiegate” pag. 12],optando invece per un connubio di norma e libertà, certamente l’oralità richiede meno norme, si può “tornare indietro”, ed è proprio l’assenza di norme, rispetto allo scritto, questa “anomia” a darci l’impressione che l’italiano non sia più una lingua ordinata, ma per usare una sua espressione «un guazzabuglio di usi».
Una delle cause va ricercata nel fatto che le nuove generazioni, immersi sempre più nelle nuove tecnologie, non hanno sperimentato un passaggio graduale da una cultura “scritta” ad una “parlata”, un esempio per tutti può essere rappresentato dalla lettera soppiantata dal telefonino.
La lingua non è un elemento statico, si accompagna ai cambiamenti sociali, è in continuo divenire, ed è proprio questa dinamicità, questo movimento, che conferisce ad essa vitalità e vivacità.
E ancora a questo proposito, mi viene in mente la distinzione del fondatore della linguistica moderna, lo strutturalista Ferdinand de Saussurre, che dovendo esprimere i cambiamenti della lingua si pronunciava così: definiva “langue” quella parte della lingua con tutti i suoi costrutti, il suo sistema di segni, la sua sintassi, le sue regole, e con “parole” l’atto linguistico, che è “individuale”, e “irripetibile”, il modo cioè in cui ognuno di noi costruisce il proprio italiano in base alla situazione comunicativa.
Io non posso che condividere il dispiacere e l’amarezza del Prof. Beccaria per la scomparsa dei congiuntivi, e che il compito della scuola, per quanto riguarda l’insegnamento della lingua, dovrebbe consistere in una giusta dose di regole e libertà nella norma, nel senso che la scuola dovrebbe promuovere l’insegnamento di una lingua che abbia coerenza, coesione in ciò che viene espresso e chiarezza, lasciando alla lingua quella giusta libertà, all’interno però di quelle norme che sono alla base, e necessarie, per un italiano sintatticamente corretto.
Ve ne consiglio la lettura, è un piccolo gioiello diviso in dieci capitoli che ci aiuta a riflettere sulla meravigliosa lingua italiana, ad “orientarci”, e accende la curiosità sulla nostra parola e su quella degli altri. Era questo l’intento del Prof. Beccaria, ci è riuscito benissimo in questo saggio piacevole da leggere, nonostante il tema complesso che affronta, e che in alcuni tratti troverete anche molto divertente.

domenica 21 novembre 2010

"Ritratto in seppia" Isabel Allende




In questo romanzo ripercorriamo la vita avventurosa di Aurora del Valle, attraverso la sua famiglia e tutto ciò che è successo prima ancora che lei nascesse.La nonna paterna,Paulina del Valle, una donna dalla forte personalità, avrà una grande influenza sulla sua educazione, e sarà proprio lei ad aprirle la strada verso il mondo della fotografia. Alla morte di Paulina compare Eliza, la nonna materna, che racconta ad Aurora di essersi occupata di lei nei primi anni della sua infanzia, insieme al nonno Tao.Grazie alla passione per la fotografia, Aurora riuscirà a far emergere tutto ciò che delle sue origini le era stato taciuto, riuscendo a ricostruire la propria identità, e tutti i pezzi del suo passato.Una trama molto ricca, costellata di personaggi, tormentate storie d'amore, guerre civili.Una straordinaria saga familiare a cui Isabel Allende ci ha ormai abituati.

martedì 16 novembre 2010

"Accabadora" di Michela Murgia




Questo libro mi ha sorpreso, per il ritmo, per l’alone di mistero, per i contenuti e i significati che esso veicola.
Sin dalle prime pagine sono stata rapita da un linguaggio che conferisce un’aura poetica a tutta l’opera.
Un tema difficilissimo e delicato da affrontare e di cui si parla molto poco.
Michela Murgia ci immerge in un universo simbolico che evoca strane figure, una realtà intrisa di storie, credenze popolari, nenie, che rimandano al passato, riti cerimoniali che stabilivano l’appartenza ad una comunità, ad un sapere tacito e condiviso.
Le due protagoniste: Maria, l’ultima di quattro figlie, e Tzia Bonaria Urrai, la vecchia sarta del paese, che la prende con sé, perché la famiglia di Maria ha già troppe bocche da sfamare: “Tutt’a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fill’e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia”.
Maria si abituerà molto presto ai silenzi di Tzia Bonaria, sono tante le domande a cui la ragazzina non sa dare una risposta: “Dove va la vecchia sarta quando con passo veloce e leggero esce di notte e si perde nell’oscurità, avvolta nel suo scialle nero?”
Tra le due nascerà un rapporto molto particolare, le loro vite legate per sempre, una verità che brucia più del fuoco, un qualcosa di impronunciabile, un peso che è come un macigno in fondo alle coscienze.
Leggendo questo testo, in un punto ho sentito qualcosa che “mancava”, esattamente quando Maria lascia la sua terra per andare al nord, ho notato una cesura molto evidente con la prima parte del libro, che quasi disorienta il lettore, ad un certo punto ho avuto quasi la sensazione che stessi leggendo un altro testo. Forse la cosa è stata voluta dall’autrice stessa, per meglio marcare le differenze culturali ed ambientali, da una parte il paese d’origine e dall'altra il nuovo mondo dove Maria viene improvvisamente catapultata, o per meglio sottolineare il cambiamento e la volontà della ragazza di tagliare tutti i fili con il suo passato, cosa molto difficile da attuarsi. Il libro mi è molto piaciuto tranne che per questa nota un po’ “disarmonica”. Avrei voluto che il libro tenesse il ritmo e lo stile poetico iniziali, quest'ultimo reso “robusto” dall’uso di idiomi tipici di quelle dolci terre, che mi ha letteralmente rapita sin dalle prime pagine..come un canto.
Leggetelo, in ogni caso non lo dimenticherete!

sabato 13 novembre 2010





Sicuramente molti di voi lo hanno letto..ve lo ripropongo!

Chi è Siddharta?

Non sappiamo quasi niente di lui, è un giovane indiano, bello, educato, che medita profondamente, vuol capire Siddharta, sperimenta molte situazioni e riesce a sganciarsi dalle dottrine che non gli offrono le risposte alle domande su se stesso e sul mondo.”No, l’uomo che cerca veramente, l’uomo che veramente vuol trovare non accoglierà nessuna dottrina”.
Assistiamo a Siddharta brahmino, mercante, barcaiolo, quanti Siddharta convivono in lui.
La ricerca della felicità, del proprio Io e del suo cammino, che passa attraverso le molteplici esperienze di Siddharta, un libro senza tempo..evanescenza dei luoghi, degli spazi: fiumi, foreste, la natura luogo di pace, un’India mai citata apertamente.
Il messaggio è molto forte, un insegnamento, un comportamento, a volte esplicitato a volte sotteso:bisogna vivere la vita sperimentando tutte le situazioni, anche quelle che sanno di dolore, apprezzando le piccole cose che ci circondano, perché solo così si può volare in alto, da soli, dove l’azzurro è più limpido e tutto diventa più chiaro ai nostri occhi, perché nessuna scienza e nessuna dottrina favoriscono la maturazione della personalità di un individuo.
E rivolgendosi al fedele amico Govinda, Siddharta dice:”Posso amare una pietra, Govinda, e anche un albero o un pezzo di corteccia. Queste son cose, e le cose si possono amare. Ma le parole non le posso amare. Ecco perché le dottrine non contano nulla per me:non sono né dure né molli, non hanno colore, non hanno spigoli, non hanno odori, non hanno sapore, non hanno null’altro che parole. Forse è questo che impedisce di trovare la pace: le troppe parole”.
Un libro che tocca le nostre corde per la profonda riflessione e analisi interiore, un romanzo senza tempo dal registro linguistico un po’ complesso.
Un piccolo libro, un grande insegnamento.

mercoledì 3 novembre 2010





La campana di vetro” (The Bell Jar, 1963) di Sylvia Plath

Un romanzo autobiografico che ripercorre quelle che sono state le vicende personali della Plath.Pubblicato con lo pseudonimo di Victoria Lucas poco meno di un mese prima del suicidio avvenuto nel 1963, a soli trentun anni,“ La campana di vetro” è lo specchio della tormentata vita di una donna dotata di una grande sensibilità, soffocata e costretta a vivere in una “campana” che le toglie l’aria. Esther (Sylvia) la protagonista, vince una borsa di studio per un tirocinio a New York per un’importante rivista di moda, questo soggiorno potrebbe rappresentare la svolta della vita di una ragazza di provincia, e offrirle anche la possibilità di fuga dalla famiglia. Esther Greenwood, studentessa brillante, a New York si sentirà come “un cavallo da corsa in un mondo senza piste”, farà nuovi incontri, nuove amicizie,diventerà amica di Doreen, una ragazza molto disinibita, a cui lei tenterà in tutti i modi di somigliare, nonostante la poca considerazione che nutre nei suoi confronti. In eterna lotta con se stessa tornerà a vivere con la madre, è il periodo della depressione, che non le dà tregua, lo psichiatra le prescrive la crudele terapia dell’elettroshock. Falliscono i suoi molteplici tentativi di suicidio,e sopravvive anche all’ultimo; ricoverata in un istituto psichiatrico viene nuovamente sottoposta ad un’intensa e sofferta terapia.”La Campana di vetro” simbolo dell’America maccartista degli anni Cinquanta (siamo in piena Guerra Fredda), dell’ambiente soffocante in cui la protagonista si trova a vivere, “la campana”, icona di condizionamenti sociali a cui fu sottoposta in quel periodo l’individualità di ognuno. Nella prima parte del libro si delinea la figura della ragazza di provincia, che fa il suo debutto in società, in una città,New York, dove la protagonista dovrebbe trovare il suo ruolo, la sua affermazione sociale, le tentazioni a cui è sottoposta hanno tutti esito negativo, da una parte le aspirazioni personali,il successo, dall’altro la sua educazione improntata su ferrei principi morali,l’importanza del matrimonio, della verginità. Sono tanti i rimandi Fitzgeraldiani, al Grande Gatsby,alcuni critici hanno persino paragonato il libro ad una versione femminile del Giovane Holden di Salinger.Nella seconda parte scatta la follia, scatenata dalla routine quotidiana, la pazzia che dilaga nel tentativo del suicidio,anche il linguaggio si spoglia delle sue coloriture ironiche. La terza e ultima parte del romanzo è l’avvio alla “normalità”,la riabilitazione, la continua ricerca della sua identità. Questo libro si deve leggere almeno due volte, e per capirne le sfumature, sarebbe meglio conoscere prima un po’ della breve e tormentata vita di questa grande scrittrice, ci sono dei capitoli violenti, di dolore. Uno splendido e toccante romanzo.

venerdì 29 ottobre 2010




“L’ignoranza” di Milan Kundera

Mi ha incuriosito il titolo di questo libro,è veloce da leggere, anche se in realtà sfiora argomenti complessi oggetto di discussione (importanza della memoria, il valore del passato nella vita di un uomo ecc. ecc. )
“In spagnolo, "añoranza" viene dal verbo "añorar" ("provare nostalgia"), che viene dal catalano "enyorar", a sua volta derivato dal latino "ignorare". Alla luce di questa etimologia, la nostalgia appare come la sofferenza dell'ignoranza”. (pag.12)

Il romanzo è una messa a fuoco sulla figura dell’esule, romanzo psicologico,lo sguardo rivolto all’Uomo. Le vicende di un uomo e di una donna, Josef e Irena ,due praghesi, andati in esilio al momento dell’occupazione russa..Irena in Francia, Josef in Danimarca, le loro vite si separano per vent’anni, ma entrambi maturano sensazioni e sentimenti che li accomunano. Ritornano nella loro terra dopo la caduta del comunismo, non riescono però a capire se amano oppure odiano il loro paese,se è ancora vivo in loro il senso di appartenenza a quei luoghi, a quegli odori, o se si sentono stranieri in terra propria. I due si accorgono di ricordare solo frammenti di persone e luoghi, di “Ignorare” e di essere “Ignorati”,sostanzialmente sono soli, proprio come un tempo, prima dell’esilio. Non è un “Grande Ritorno”. Gli amici che rivedono sembrano non interessarsi a ciò che è stata la loro vita vissuta in altri posti, lontana da Praga,entrambi paragonano la loro esperienza a quella di Ulisse.Ha veramente Ulisse desiderato il ritorno?oppure tutto è stato dettato da una necessità morale? E Penelope ritrovandolo dopo tanti anni, lo avrà davvero amato come un tempo? Irena e Josef si incontrano per caso sulla via del ritorno a Praga e si danno un appuntamento. Irena, in quell’incontro con Iosef, crede, anche se per poco, di trovare quell’intesa non più sperata. Anche Josef sembra rivivere in quegli attimi emozioni e sensazioni che credeva ormai spente per sempre, ma tra di loro c’è un abisso,lui ignora chi sia quella donna con cui sta vivendo un momento magico, e lei invece si illude di riannodare i fili del passato. L’illusione dura poco, non resta che guardare al presente, a quella che è ormai la sola “patria” rimasta, con cui fare i conti. Il ritorno dell’esule, la nostalgia, il disagio del ritorno, il tema centrale dell’amore, il matrimonio che inaridisce l’erotismo, sono questi soltanto alcuni dei temi affrontati o sfiorati in questo romanzo a mio avviso commovente, dalla lettura molto rapida. Il libro offre un momento di riflessione su cosa significhi guardare al passato per chi ha dovuto lasciare la propria terra, e sui cambiamenti e nuove realtà dei Paesi dell’Est all’indomani della caduta del comunismo.

martedì 26 ottobre 2010



Vi presento un grande libro: “La Lettera Scarlatta” di Nathaniel Hathorne, successivamente modificato in Hawthorne (biancospino)

Teatro della narrazione è la Boston puritana del XVII secolo, la severa moralità della Nuova Inghilterra etichetta Ester Prynne come “l’Adultera”.
Rimasta incinta in assenza del marito viene condannata a portare,ricamata sul petto, una grande “A” rossa, simbolo del suo peccato e che la espone al pubblico disprezzo.
Sconosciuta l’identità del suo “complice” , per volontà della stessa Ester che rifiuta ostinatamente di rivelare chi sia il padre della creatura che porta in grembo.
Frutto del “peccato” è la piccola e vivace Perla, che la donna porta in braccio e stringe a sé quando dal carcere viene condotta in piazza, costretta a salire sul palco della gogna.
La porta del carcere si spalancò: “Nella folla degli spettatori si aprì un varco. Preceduta dal banditore, seguita da un confuso corteo di uomini accigliati e di donne incattivite, Ester Prynne si avviò verso il luogo fissato per il castigo.[..] pur altera nel portamento, forse viveva un’agonia a ogni passo di coloro che si accalcavano per vederla, quasi che il suo cuore fosse stato buttato sul selciato perché tutti lo calpestassero con disprezzo”.
La lettera “A”, un marchio che brucia sul petto di Ester, che si incide nella carne del suo complice, che si incarna nelle sembianze stesse della loro figlia Perla.
L’ambiguità polisemica che pervade questo capolavoro, dovuta anche all’ambiguità dello stesso Hawthorne per le variazioni dei suoi punti di vista, a tratti pietoso nei confronti di Ester, a tratti neutrale.. a volte lo sorprendiamo mentre si insinua nei pensieri dei suoi personaggi per carpirne i segreti più remoti.
Man mano che procediamo nella lettura tocca a noi orientarci, l’inizio è un po’ lento, ma l’eleganza della penna di Hawthorne vi farà proseguire.
Io l’ho letto lentamente e in silenzio, perché è così che a mio avviso si deve leggere questo romanzo storico, per assaporarne tutte le sfumature, per poterci smarrire, per emozionarci, per orientarci, e ancora per poter penetrare delicatamente nei pensieri dei protagonisti., e farci sfiorare dalle cocenti emozioni nascoste nelle pieghe più profonde dei loro cuori.
Cosa c’è nella Lettera Scarlata?C’è tutto racchiuso in questa “A” che brucia più del fuoco: “A” come Agonia, “A” come “Ammirevole” (donna), “A” come Arte, “A” come Anima, “A” come America, “A” come.. Amore.
Amore che perdona, Amore che vince.
Non posso dirvi altro!

sabato 23 ottobre 2010



"Novecento" Alessandro Baricco


Un po’ di anni fa avevo visto il film di Tornatore e mi era piaciuto tantissimo(una trasposizione davvero ben riuscita).
Non ho resistito alla lettura di questo testo che l’autore stesso definisce “un testo che sta in bilico tra una messa in scena e un resoconto da leggere ad alta voce. Non credo che ci sia un nome per testi del genere. Comunque, poco importa”. E poco importa sì, perché questa è davvero una bella storia da raccontare.

Il mare fratello, il mare amico, una nave:la casa.
Il mare rifugio, il mare che culla, spaventa, il mare che è la strada, la strada per salvarsi.
Il mare che danza sulle note leggere come di farfalla, il pensiero accorda tutti i pezzi di una vita immaginata, amata, vissuta negli occhi di quanti sono saliti a bordo del Virginian, e respirata attraverso i loro vestiti, l’odore della loro pelle. Sensazioni che sono dolci carezze di vento, al di là di ogni luogo..di ogni tempo.
E poi Novecento che con la sua musica attenua la paura dell’oceano, le note di una musica che non ricordi di avere mai ascoltato, la sua melodia argentea, rara e rilucente come la più preziosa delle perle, sì una perla, nell’infinito dell’Oceano mare. Un potente e delicato monologo.

giovedì 14 ottobre 2010


“Diario di scuola” Daniel Pennac


E che dire del Prof. Pennacchioni?

In questo libro ci svela il suo “piccolo-grande segreto”.Nessuno di noi poteva immaginare che il Prof. Pennacchioni da ragazzo andasse malissimo a scuola, era come egli stesso si definisce un “somaro”, e allora ci chiediamo: come ha fatto a “diventare”?ricordi autobiografici misti ad un’acuta riflessione sul mondo della scuola, sull’importanza nell’incontrare quel Prof. ,uno solo sì “è sufficiente un professore-uno solo!-per salvarci da noi stessi e farci dimenticare tutti gli altri”. Il punto di vista degli alunni, anzi dei “somari”,e conoscendo molto bene il soggetto, Pennac, con ironica serietà, interloquisce costantemente con il “somaro” che era in lui. Nella brevità dei capitoli si concentrano episodi di Pennacchioni alunno e professore, dal banco alla cattedra, il suo continuo scavare nel “mal di scuola”, questo stato di disagio che attraversa tanti ragazzi, ma anche una gran sete di conoscenza, di imparare che, al contrario di tanti luoghi comuni, anima i giovani d’oggi come quelli di ieri. È con straordinaria dolcezza che Pennac eleva il concetto di “amore” a luogo e momento principe nell’interazione alunno-professore, l’amore il motore di ogni relazione pedagogica. Ed ecco la metafora alata di Pennac a proposito delle rondini che si apprestano a migrare: “Quelle che non stanno in riga. Che non seguono la retta via. E gozzovigliano ai margini. Risultato:vetro fisso.Toc! Tramortita sul tappeto.Allora uno di noi si alza, prende la rondine stordita nel palmo della mano – non pesa quasi niente, ossa piene di vento - , aspetta che si risvegli, e la manda a raggiungere le sue amiche.La resuscitata vola via, ancora un po’ intontita, zigzagando nello spazio ritrovato, dopodiché punta dritto a sud e sparisce nel suo avvenire. Ecco, la mia metafora vale quel che vale, ma è questo l’amore in materia di insegnamento, quando gli studenti volano come uccellini impazziti. ” Un libro per tutti, professori, alunni, genitori,una lettura consigliata per tutte le scuole del mondo.

Voglio presentarvi un libro un po’ particolare “Le Braci “ di Sándor Márai


La storia di due amici ,Henrik e Konrad, la loro è un’amicizia profonda, fraterna, un bel giorno le loro vite si dividono, si rivedono dopo quarantun anni, perché tanto è il tempo che deve passare affinché i due possano di nuovo incontrarsi. È successo tutto in un giorno, Konrad scappa ai Tropici, Enrik invece non si muove dalla sua enorme ed elegante casa. Dopo quarantun anni di attesa ecco che Konrad torna “[..] sei tornato perché non potevi fare diversamente” gli dice l’amico Henrik, “e sapevamo entrambi che ci saremmo incontrati ancora una volta,[..] perché un segreto come quello che esiste fra me e te possiede una forza singolare. Una forza che brucia il tessuto della vita come una radiazione maligna, ma al tempo stesso dà calore alla vita e la mantiene in tensione”.Il generale Henrik accoglierà l’amico nella stessa stanza dove si erano incontrati l’ultima volta, prima della sua partenza, allora c’era anche Krisztina, la giovane moglie del generale, l’ombra di lei continua a riaffiorare e a vivere non solo nei ricordi, ma in tutta la casa. Il generale che ricorda ogni minimo particolare dell’ultima volta che i tre sono stati insieme, chiama Nini, l’anziana balia che lo ha visto nascere, e dispone che tutto sia come quella sera di quarantun anni fa. La tavola era apparecchiata col servizio di porcellana francese, e il vaso azzurro di cristallo era pieno di dalie. Nini con commozione esegue gli ordini. “Che cosa gli vuoi strappare? chiede Nini al generale “La verità” ripetè e tacque”.Quale verità sta cercando quest’uomo? Cos’è che deve chiedere all’amico Konrad dopo tanta attesa?
Di questo libro mi ha colpito la grande ispirazione, la ricercatezza dello stile, al tempo stesso intenso e delicato, la stupenda descrizione dei paesaggi, il romanticismo che pervade tutto il romanzo. L’amore, la memoria, l’amicizia, l’orgoglio, l’illusione, la passione. Nessun altro titolo poteva meglio riassumere le passioni umane,e tutto ciò che in questo libro, nonostante il passare del tempo, ha continuato a bruciare con il tepore “ostinato” delle braci.
Chi legge questo libro, non lo dimenticherà!

“De Profundis” Oscar Wilde





E’ la lunghissima lettera che Wilde scrisse al suo amante, Alfred Douglas “Boisie”, mentre era detenuto per sodomia nella prigione di Reading, dove scontò due anni ai lavori forzati.
Entriamo in punta di piedi e in silenzio nell’intimità di un uomo, ne ascoltiamo il dolore, lo immaginiamo nella sua cella buia mentre scrive queste parole.
Un uomo solo, umiliato, si confessa. Rimprovera l’amante che lo abbandona proprio nel momento in cui lui ne ha più bisogno,gli rimprovera la sua mancanza di “immaginazione”,e la cosa più tremenda è che Boisie cerca di rendere pubbliche alcune delle lettere private inviategli da Wilde.
Un uomo condannato a due anni di lavori forzati,in condizioni disumane, non perché si fosse macchiato di chissà quale atroce reato, ma processato e condannato solo per aver amato, per aver amato un’altra persona.
Una lettera amara, dove maschera e volto convivono, troviamo l’uomo e l’artista, perseguitato dai “filistei” del tempo, le rivendicazioni della sua Arte. E anche se con parole taglienti rivolgendosi a Boisie scrive: “Mentre seduto in questa cella buia vestito da carcerato, uomo rovinato e coperto di disonore, io biasimo me stesso [..] mi biasimo per aver permesso che un’amicizia non intellettuale, [..]dominasse completamente la mia vita [..] mi biasimo per averti permesso di portarmi alla totale vergogna e rovina finanziaria”, nonostante queste dure parole, io non ho trovato odio in questa lettera, ma perdono, amore, una grande sensibilità che travolgono l’uomo e l’artista, con la forza di una mare in tempesta che infrange le sue onde sulla roccia, e scava, scava..emozioni, pensieri, ricordi, Amore, con tutta l’Umanità che gli arriva e gli parla..che ci parla, “Dal Profondo”.

Assolutamente da leggere!

lunedì 11 ottobre 2010

Recensione di Acciaio


Vorrei consigliarvi il primo romanzo di una giovane scrittrice: “Acciaio” di Silvia Avallone edito da Rizzoli.




La storia s’incentra sulla profonda amicizia che lega due ragazzine, Anna e Francesca, cresciute in una cruda realtà di provincia. Entrambe sono belle, di una bellezza radiosa, quasi impertinente. Ragazzi disillusi senza più entusiasmi, che si arrendono o che sognano di scappare. Il duro lavoro degli operai nelle acciaierie di Piombino (va detto che non è un libro su Piombino, anche se teatro della narrazione), la fatica e i drammi della vita quotidiana. Il tema centrale dell’amicizia s’intreccia con altri temi, la droga, la violenza che si consuma dentro le mura domestiche. L’abilità descrittiva dell’autrice che ci regala emozioni, quando con grazia riesce ad instillare sensazioni nella descrizione dei luoghi e dei personaggi che prendono vita in questo straordinario e potente romanzo.