I miei libri


Benvenuti!


I miei libri


Il loro colore è il colore semplice e vivace dei fiori di campo,
il loro odore è quello che mi inebria l'anima,
il loro sapore è quello di un cibo sano che non sazia,
il rumore delle loro pagine è quello della mia curiosità,
di tutti quei libri che vorrei leggere, di tante cose che ancora non so.
Mentre leggo mi ascoltano..li ascolto,
mi parlano, sanno le parole che vorrei ascoltare,
ciò che mi piace e ciò che mi fa arrabbiare,
sono gli unici che sanno tutto di me,
e lo sanno perché ti fregano con una parola, una frase, un odore, un luogo.
Conoscono i miei pensieri, i miei desideri, le mie emozioni, le mie paure.
Sono amici fedeli perché non raccontano quello che sanno,
quando tutti vanno via, loro rimangono lì,
mi strizzzano un occhio ..e so già che non sono più sola.

domenica 21 novembre 2010

"Ritratto in seppia" Isabel Allende




In questo romanzo ripercorriamo la vita avventurosa di Aurora del Valle, attraverso la sua famiglia e tutto ciò che è successo prima ancora che lei nascesse.La nonna paterna,Paulina del Valle, una donna dalla forte personalità, avrà una grande influenza sulla sua educazione, e sarà proprio lei ad aprirle la strada verso il mondo della fotografia. Alla morte di Paulina compare Eliza, la nonna materna, che racconta ad Aurora di essersi occupata di lei nei primi anni della sua infanzia, insieme al nonno Tao.Grazie alla passione per la fotografia, Aurora riuscirà a far emergere tutto ciò che delle sue origini le era stato taciuto, riuscendo a ricostruire la propria identità, e tutti i pezzi del suo passato.Una trama molto ricca, costellata di personaggi, tormentate storie d'amore, guerre civili.Una straordinaria saga familiare a cui Isabel Allende ci ha ormai abituati.

martedì 16 novembre 2010

"Accabadora" di Michela Murgia




Questo libro mi ha sorpreso, per il ritmo, per l’alone di mistero, per i contenuti e i significati che esso veicola.
Sin dalle prime pagine sono stata rapita da un linguaggio che conferisce un’aura poetica a tutta l’opera.
Un tema difficilissimo e delicato da affrontare e di cui si parla molto poco.
Michela Murgia ci immerge in un universo simbolico che evoca strane figure, una realtà intrisa di storie, credenze popolari, nenie, che rimandano al passato, riti cerimoniali che stabilivano l’appartenza ad una comunità, ad un sapere tacito e condiviso.
Le due protagoniste: Maria, l’ultima di quattro figlie, e Tzia Bonaria Urrai, la vecchia sarta del paese, che la prende con sé, perché la famiglia di Maria ha già troppe bocche da sfamare: “Tutt’a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fill’e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia”.
Maria si abituerà molto presto ai silenzi di Tzia Bonaria, sono tante le domande a cui la ragazzina non sa dare una risposta: “Dove va la vecchia sarta quando con passo veloce e leggero esce di notte e si perde nell’oscurità, avvolta nel suo scialle nero?”
Tra le due nascerà un rapporto molto particolare, le loro vite legate per sempre, una verità che brucia più del fuoco, un qualcosa di impronunciabile, un peso che è come un macigno in fondo alle coscienze.
Leggendo questo testo, in un punto ho sentito qualcosa che “mancava”, esattamente quando Maria lascia la sua terra per andare al nord, ho notato una cesura molto evidente con la prima parte del libro, che quasi disorienta il lettore, ad un certo punto ho avuto quasi la sensazione che stessi leggendo un altro testo. Forse la cosa è stata voluta dall’autrice stessa, per meglio marcare le differenze culturali ed ambientali, da una parte il paese d’origine e dall'altra il nuovo mondo dove Maria viene improvvisamente catapultata, o per meglio sottolineare il cambiamento e la volontà della ragazza di tagliare tutti i fili con il suo passato, cosa molto difficile da attuarsi. Il libro mi è molto piaciuto tranne che per questa nota un po’ “disarmonica”. Avrei voluto che il libro tenesse il ritmo e lo stile poetico iniziali, quest'ultimo reso “robusto” dall’uso di idiomi tipici di quelle dolci terre, che mi ha letteralmente rapita sin dalle prime pagine..come un canto.
Leggetelo, in ogni caso non lo dimenticherete!

sabato 13 novembre 2010





Sicuramente molti di voi lo hanno letto..ve lo ripropongo!

Chi è Siddharta?

Non sappiamo quasi niente di lui, è un giovane indiano, bello, educato, che medita profondamente, vuol capire Siddharta, sperimenta molte situazioni e riesce a sganciarsi dalle dottrine che non gli offrono le risposte alle domande su se stesso e sul mondo.”No, l’uomo che cerca veramente, l’uomo che veramente vuol trovare non accoglierà nessuna dottrina”.
Assistiamo a Siddharta brahmino, mercante, barcaiolo, quanti Siddharta convivono in lui.
La ricerca della felicità, del proprio Io e del suo cammino, che passa attraverso le molteplici esperienze di Siddharta, un libro senza tempo..evanescenza dei luoghi, degli spazi: fiumi, foreste, la natura luogo di pace, un’India mai citata apertamente.
Il messaggio è molto forte, un insegnamento, un comportamento, a volte esplicitato a volte sotteso:bisogna vivere la vita sperimentando tutte le situazioni, anche quelle che sanno di dolore, apprezzando le piccole cose che ci circondano, perché solo così si può volare in alto, da soli, dove l’azzurro è più limpido e tutto diventa più chiaro ai nostri occhi, perché nessuna scienza e nessuna dottrina favoriscono la maturazione della personalità di un individuo.
E rivolgendosi al fedele amico Govinda, Siddharta dice:”Posso amare una pietra, Govinda, e anche un albero o un pezzo di corteccia. Queste son cose, e le cose si possono amare. Ma le parole non le posso amare. Ecco perché le dottrine non contano nulla per me:non sono né dure né molli, non hanno colore, non hanno spigoli, non hanno odori, non hanno sapore, non hanno null’altro che parole. Forse è questo che impedisce di trovare la pace: le troppe parole”.
Un libro che tocca le nostre corde per la profonda riflessione e analisi interiore, un romanzo senza tempo dal registro linguistico un po’ complesso.
Un piccolo libro, un grande insegnamento.

mercoledì 3 novembre 2010





La campana di vetro” (The Bell Jar, 1963) di Sylvia Plath

Un romanzo autobiografico che ripercorre quelle che sono state le vicende personali della Plath.Pubblicato con lo pseudonimo di Victoria Lucas poco meno di un mese prima del suicidio avvenuto nel 1963, a soli trentun anni,“ La campana di vetro” è lo specchio della tormentata vita di una donna dotata di una grande sensibilità, soffocata e costretta a vivere in una “campana” che le toglie l’aria. Esther (Sylvia) la protagonista, vince una borsa di studio per un tirocinio a New York per un’importante rivista di moda, questo soggiorno potrebbe rappresentare la svolta della vita di una ragazza di provincia, e offrirle anche la possibilità di fuga dalla famiglia. Esther Greenwood, studentessa brillante, a New York si sentirà come “un cavallo da corsa in un mondo senza piste”, farà nuovi incontri, nuove amicizie,diventerà amica di Doreen, una ragazza molto disinibita, a cui lei tenterà in tutti i modi di somigliare, nonostante la poca considerazione che nutre nei suoi confronti. In eterna lotta con se stessa tornerà a vivere con la madre, è il periodo della depressione, che non le dà tregua, lo psichiatra le prescrive la crudele terapia dell’elettroshock. Falliscono i suoi molteplici tentativi di suicidio,e sopravvive anche all’ultimo; ricoverata in un istituto psichiatrico viene nuovamente sottoposta ad un’intensa e sofferta terapia.”La Campana di vetro” simbolo dell’America maccartista degli anni Cinquanta (siamo in piena Guerra Fredda), dell’ambiente soffocante in cui la protagonista si trova a vivere, “la campana”, icona di condizionamenti sociali a cui fu sottoposta in quel periodo l’individualità di ognuno. Nella prima parte del libro si delinea la figura della ragazza di provincia, che fa il suo debutto in società, in una città,New York, dove la protagonista dovrebbe trovare il suo ruolo, la sua affermazione sociale, le tentazioni a cui è sottoposta hanno tutti esito negativo, da una parte le aspirazioni personali,il successo, dall’altro la sua educazione improntata su ferrei principi morali,l’importanza del matrimonio, della verginità. Sono tanti i rimandi Fitzgeraldiani, al Grande Gatsby,alcuni critici hanno persino paragonato il libro ad una versione femminile del Giovane Holden di Salinger.Nella seconda parte scatta la follia, scatenata dalla routine quotidiana, la pazzia che dilaga nel tentativo del suicidio,anche il linguaggio si spoglia delle sue coloriture ironiche. La terza e ultima parte del romanzo è l’avvio alla “normalità”,la riabilitazione, la continua ricerca della sua identità. Questo libro si deve leggere almeno due volte, e per capirne le sfumature, sarebbe meglio conoscere prima un po’ della breve e tormentata vita di questa grande scrittrice, ci sono dei capitoli violenti, di dolore. Uno splendido e toccante romanzo.