I miei libri
Benvenuti!
I miei libri
Il loro colore è il colore semplice e vivace dei fiori di campo,
il loro odore è quello che mi inebria l'anima,
il loro sapore è quello di un cibo sano che non sazia,
il rumore delle loro pagine è quello della mia curiosità,
di tutti quei libri che vorrei leggere, di tante cose che ancora non so.
Mentre leggo mi ascoltano..li ascolto,
mi parlano, sanno le parole che vorrei ascoltare,
ciò che mi piace e ciò che mi fa arrabbiare,
sono gli unici che sanno tutto di me,
e lo sanno perché ti fregano con una parola, una frase, un odore, un luogo.
Conoscono i miei pensieri, i miei desideri, le mie emozioni, le mie paure.
Sono amici fedeli perché non raccontano quello che sanno,
quando tutti vanno via, loro rimangono lì,
mi strizzzano un occhio ..e so già che non sono più sola.
martedì 19 giugno 2012
venerdì 15 giugno 2012
"La figlia del capitano" di Aleksandr Sergeevič Puškin
Sullo sfondo la rivoluzione russa
durante il regno di Caterina II. Il protagonista del romanzo è l’alfiere Pëtr
Andréevič Grinëv, destinato ancor prima
della nascita alla carriera militare : “Mia madre era ancora incinta di
me, che io ero immatricolato nel reggimento [..]. Se contro ogni aspettativa
mia madre avesse generato una figlia, il babbo avrebbe comunicato là dove
bisognava la notizia della morte del sergente mai presentatosi”. Il giovane Pëtr viene assegnato alla fortezza di Belogorskaja dove presterà il suo servizio militare. Su insistenza del padre intraprende
il faticoso viaggio verso la guarnigione insieme al suo fidato
precettore Savél'ič. Durante la notte i due vengono
sorpresi da una violenta bufera e grazie
all’aiuto di un barbuto contadino - che in seguito si rivelerà essere il capo
dei ribelli Pugačëv, - riescono a mettersi in salvo e a ritrovare la
strada verso la fortezza.. Pëtr Andréevič Grinëv viene accolto dal capitano
Mironov, entra far parte della sua famiglia e
s’innamora della giovane figlia
Maša. È un amore corrisposto quello tra Pëtr e Maša anche se contrastato dal
giovane Švabrin, amico-nemico di Pëtr. Intanto l’avanzata dei rivoltosi è
sempre più pressante, Pugačëv dissemina
morte, uccide il capitano Mironov e sua
moglie, risparmiando solo il giovane
Grinëv. Accusato di tradimento l’ufficiale
Grinëv viene arrestato, ma l’intervento di Maša
cambierà la sorte degli eventi con la naturalezza e l’ingenuità che si riscontrano in una bella
fiaba a lieto fine.
È un romanzo semplice ma a tratti complesso, non è un romanzo
storico nel senso comune di questo termine, dobbiamo tenere ben presente la
grande raccolta di notizie e le fonti
storiche documentate, soprattutto quelle riferite alla storia di Pugačëv, forse è l’intreccio di più generi
letterari che si mescolano in atmosfere
cangianti, tra sogno e realtà.
I temi: la rivolta dei cosacchi,
la figura di Pugačëv,l’amore che s’insinua nelle vicende storiche con tutte le
caratteristiche di una fiaba, lo stile un po’ appesantito dall’uso di
idiomi russi, buona a mio avviso la descrizione dei freddi e malinconici paesaggi, della steppa.
La figlia del capitano,
pubblicato nel 1836 è un breve classico
di Puškin, considerato il
fondatore della lingua letteraria russa –
Questo ciò che scrisse Dostoevskij:
“Romanzo a tal punto ingenuo e non artificioso; come se in questo miracolo
l’arte fosse sparita, persa, giunta fino alla naturalezza” .
giovedì 7 giugno 2012
“La recita di Bolzano “ di Sándor Márai
È il personaggio di Giacomo Casanova, magistralmente plasmato e anche imbruttito, a dare a Márai gli strumenti per entrare nel mare burrascoso dell’animo umano ed indagarne le diverse condizioni.
Un Casanova strambo, goffo, quasi grottesco che dopo la fuga dal carcere dei Piombi di Venezia fa tappa a Bolzano per alcuni giorni, la stessa città in cui vive Francesca, il suo (forse) unico amore , ora moglie del Conte di Parma.
Ma chi è l’ospite che una sera viene a fargli visita alla Locanda del Cerco dove lui alloggia?
Chi ha già letto qualcos’altro di Márai conoscerà anche la potenza dei suoi straordinari monologhi, la sua bravura nello stabilire con il lettore quella tensione narrativa che ci induce ad andare avanti nella lettura, con la curiosità e la fretta di scoprire un qualcosa, un qualcosa che muta, qualcosa che cambia in continuazione, come le situazioni a cui assiste il lettore.
Le parole di Márai così incisive e appuntite, anche se a tratti ripetitive, sanno dove andare a colpire, e in quest’opera ci tengono incollati alla poltrona di un teatro per assistere alla rappresentazione dell’Uomo, del sé, dietro la sua maschera.
I personaggi , apparentemente “tranquilli” irrompono sulla scena, e piano piano l’autore comincia a scavare fino a toccare i meandri più oscuri e segreti dell’animo, personaggi sempre in “movimento” alla ricerca di un qualcosa mai pienamente definito.
Da una parte l’egoismo più cieco, dall’altra l’amore fino all’annullamento del proprio sé, la solitudine, il tema del passato, il ritorno. Aleggia sempre nei testi di Márai un qualcosa di incompiuto, di sospeso, portato in alcuni passi del libro quasi ad una resa dei conti, ma che alla fine non riesce mai a compiersi, come la chiusa dei suoi libri che rimane sempre aperta in attesa di un qualcos’altro. Mi sono chiesta il perché di tutto questo, il significato, e alla fine l’ho (quasi) trovato mutuandolo da una frase di questo libro: Forse “perché se si aspetta qualcosa vuol dire che si è vivi”.
venerdì 1 giugno 2012
Stoner di Jhon Williams
Chi è Stoner? William Stoner è un ragazzo di campagna che nel 1910 si iscrive all’Università del Missouri e diventa professore, dedicando all’insegnamento una vita intera.
Una storia come tante, ma in questo libro quella che al primo impatto sembrerebbe una storia ordinaria assume i contorni di qualcosa di straordinario, quell’atto di straordinarietà che difficilmente si intravede nello scorrere naturale e routinario della vita quotidiana.
Della trama non vi dirò quasi nulla, o forse ho già detto troppo; per la semplicità potrebbe non incuriosirvi, e se è pur vero che la trama di questo libro è semplice, i fili dell’ordito sono molto intricati, attorcigliano piano piano il tessuto narrativo che insieme concorrono a formare, rendendolo complesso e difficile da dipanare.
Stoner è il libro di tutta una vita, la vita di un uomo virtuoso, sì forse incapace di grandi slanci, ma un uomo che crede fermamente che essere se stesso sia molto più importante della facciata, delle apparenze.
Potrei dirvi che è un libro dalla sensibilità toccante, una storia di solitudine, un’opera delicata e pura dove dolore, malinconia e tragedia umana si mescolano; e potrei ancora dirvi che questo testo è un intreccio di riflessioni sul tema dell’educazione, l’istruzione universitaria, l’incomunicabilità di una coppia, o quella tra genitori e figli, il faccia a faccia con il mal di vivere. Tutta questa materia sullo sfondo di un’America fra le due guerre. Quante cose si potrebbero dire? ma forse anche questo è poco, perché fra queste pagine, fra l’inchiostro di questi caratteri c’è molto di più.
Ho visto Stoner seduto con la testa china sui suoi adorati libri, e ne ho compreso ogni suo pensiero. L’ho osservato camminare sempre più curvo e stanco tra i corridoi dell’università, ero lì accanto a lui quando guardava fuori il giardino illuminato dal sole con i suoi occhi grigi e infossati, e avrei voluto quasi consolarlo, e gli ho voluto bene!
Non ho condivo la sua inerzia, la sua rassegnazione davanti all’isteria della moglie Edith, o quando si trattava della sua felicità o quella della figlia Grace, perché lui era uno che si accontentava di una felicità “ di tanto in tanto”. Ma come si fa a non avere simpatia per uno come lui, così come è impossibile non avere antipatia per Edith o per Lomax,suo collega. Come si fa a non chiamarlo amico? forse perché a tanti di noi William Stoner ricorderà un vecchio professore un po’ burbero ma leale, o forse più semplicemente lo sentiamo familiare perché in fondo anche pensandoci lontani ed estranei alla sua vita, un po’di Stoner abita da qualche parte in ognuno di noi.
Stoner si è guadagnato il posto fra i libri più importanti finora letti, e nonostante l’ordinarietà della storia, ritengo sia un autentico capolavoro, un classico, che in punta di piedi e con grazia si sporge fino a toccare la parte più intima del nostro animo, lasciando una traccia indelebile.
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