
Sullo sfondo della Serra nuorese, di una foresta ridente e foglie lacrimanti..tra il vento e la voce della tanca, animata dai canti degli usignoli, si dipana la tormentata storia d’amore tra la possidente Marianna Sirca e il bandito Simone Sole.
Troppi diversi, troppo distanti i loro mondi, la padrona e il servo, anche se entrambi servi, entrambi prigionieri.
La determinazione di Marianna,la volontà di dichiararsi finalmente libera,padrona della propria vita, delle sue scelte, anche nell’abisso della sua solitudine.
E poi l’amore forte per Simone che non torna, ma lei “Lo sapeva, che sarebbe tornato, e si accorgeva che era rimasta lì sulla soglia ad aspettarlo”, forse per sempre.
Nel buio della sua stanza chiudeva forte gli occhi Marianna, per non piangere, ricordando le parole di Simone: ”Una donna che ama un uomo come me non deve piangere[..] e le pareva di avere un legaccio ai polsi, una catena ai piedi.[..]Questo era dunque l’amore: affanno nascosto nel più profondo del cuore”, dolce e doloroso, quell’amore che Marianna non aveva mai provato.
La Deledda fa uso di un linguaggio vero, ci offre la pittura di un quadro vivo, che pulsa, di un grande affresco, e nello scavare nelle paure e nei pensieri più intimi dei protagonisti, e nella descrizione dei luoghi, dei paesaggi, una tavolozza e un innesto di colori che conferiscono al romanzo quel giusto tocco poetico.
La malinconia, forse la visione pessimistica di un destino al quale non si può sfuggire.